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Licenziamento: tutte le regole

Licenziamento: tutte le regole

Essere assunti a tempo indeterminato non è più garanzia di conservazione del posto di lavoro a vita: i tempi sono cambiati e l'intangibilità del posto di lavoro è venuta meno sempre di più. I motivi di licenziamento sono solo quelli indicati dalla legge: vediamo quali.



Perdere il posto di lavoro o decidere di licenziare dei propri dipendenti è sempre un momento difficile e delicato: nonostante varie riforme abbiano indebolito la posizione di quei lavoratori che usufruiscono di un contratto di lavoro stabile e nonostante una maggiore flessibilità rispetto al passato, per poter licenziare un dipendente assunto con contratto a tempo indeterminato è necessario comunque che ricorrano delle precise condizioni: vediamo quali.

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Licenziamento: quando è possibile?

Nel contratto a tempo indeterminato la fine del rapporto di lavoro può avvenire in tre casi:

  • per il consenso comune delle parti;
  • per decisione unilaterale del lavoratore (dimissioni);
  • per decisione unilaterale del datore di lavoro (licenziamento).

In quest'ultimo caso, il licenziamento può essere intimato per:

  • giusta causa; si verifica quando il lavoratore si rende colpevole di un fatto grave, come un'aggressione fisica al datore di lavoro o ai colleghi, oppure di gravi inadempienze. In questi casi il lavoratore può essere licenziato "in tronco", cioè senza preavviso, e ha diritto alla sola liquidazione.
  • giustificato motivo soggettivo; ricorre in seguito ad un avvenimento abbastanza serio da provocare il licenziamento del lavoratore, ma comunque non tanto grave da causare un'interruzione immediata del rapporto. Pertanto il licenziamento avviene con il cosiddetto "preavviso": durante questo periodo il lavoratore continua a lavorare ed è normalmente retribuito. Il lavoratore ha diritto alla liquidazione e all'indennità di mancato preavviso qualora venga chiesta la risoluzione immediata del contratto.
  • giustificato motivo oggettivo; si verifica quando il licenziamento si rende necessario per questioni legate alla struttura aziendale, come la necessità di chiudere un settore, esternalizzare una funzione, fronteggiare una crisi del mercato, migliorare la produttività tagliando gli sprechi. In quest'ultimo caso bisogna dimostrare non solo la necessità del licenziamento ma anche l'impossibilità di impiegare il dipendente ad altre mansioni.

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Licenziamento: quali costi per il datore di lavoro?

Il licenziamento ha dei costi per il datore di lavoro, oltre a quelli del trattamento di fine rapporto (TFR) e all'eventuale indennità di mancato preavviso. In caso di licenziamento, infatti, l'azienda deve corrispondere il ticket di licenziamento, un contributo dovuto dalle aziende e dai datori di lavoro nei casi in cui ci sia un'interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato; sono esclusi i casi di dimissioni da parte del lavoratore o di risoluzione consensuale del contratto di lavoro. Il ticket di licenziamento ha sostanzialmente due finalità:

  • finanziare la Naspi, cioè l'indennità di disoccupazione riconosciuta dall'Inps a coloro che perdono il posto di lavoro;
  • scoraggiare i licenziamenti.

I costi del ticket di licenziamento possono variare nei casi di:

  • licenziamento individuale; si calcola il 41% del massimale mensile Naspi per ogni 12 mesi di anzianità del dipendente negli ultimi tre anni. Poiché il massimale Naspi attualmente è di 1.195 euro, il contributo dovuto dal datore di lavoro per gli ultimi 12 mesi di rapporto è di 489,95 euro. Per i rapporti lavorativi pari o superiori ai 36 mesi il contributo può arrivare a costare 1.469,85 euro;
  • licenziamenti collettivi (Cassa Integrazione Straordinaria); l'aliquota raddoppia, raddoppiando quindi anche l'importo massimo del contributo da versare (per rapporti di lavoro di 36 mesi) che può arrivare a circa 2.940 euro. In mancanza di accordo sindacale raggiunto, tale somma si moltiplica per tre e il datore di lavoro rischia di pagare, per 36 mesi di impiego, 8.820 euro per ciascun lavoratore.

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