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Whistleblowing: due sentenze per fare chiarezza

Whistleblowing: due sentenze per fare chiarezza

Il whistleblowing è l'attività che pratica il segnalatore di illeciti o irregolarità in ambito lavorativo, perlopiù a carattere pubblico. Una pratica che fortunatamente sta diventando sempre più comune. Approfondiamo l'argomento grazie all'analisi di due sentenze della Cassazione.



Abbiamo già affrontato il tema del whistleblowing, in quanto ci sembra un’attività di interesse pubblico che non riceve le giuste attenzioni da parte dei media nazionali. Il whistleblower è colui che denuncia casi di corruzione e frode o, ancora più importante, gravi situazioni di pericolo per la salute e la sicurezza pubblica. Solitamente trova applicazione nell’ambito della pubblica amministrazione dove sono più frequenti le gestioni clientelari della cosa pubblica.

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Uno strumento per le vittime

Molto spesso i segnalatori di illeciti sono vittime di ritorsioni o azioni vessatorie da parte dell'istituzione o dell'azienda che ha commesso l'illecito denunciato, e sono quindi destinatari di accuse o sanzioni disciplinari o, ancora peggio, licenziamenti. Ma non sono rari i casi di minacce verbali o fisiche subite dal lavoratore. Per questo motivo si è cercato, negli anni, di tutelare il ruolo del segnalatore di reati, attraverso decreti legislativi mirati, come la legge 179 del 2017, che ha modificato la legge 165 del 2001, sulle tutele riservate al whistleblower.

Le tutele del whistleblower?

Cercheremo adesso di analizzare le novità riguardanti questo importante argomento. Infatti la Corte di Cassazione, nel 2018, ha emesso due importanti sentenze riguardanti il ruolo del segnalatore di illeciti.

La Camera dei Deputati, nel 2017, ha approvato una modifica di una precedente legge del 2001, che trattava delle disposizioni di tutela sui whistleblowing. In questa modifica si cercava di dare maggiori tutele al segnalatore di illeciti.

Le novità della Cassazione

La decisioni prese, conseguentemente, dalla Corte di Cassazione sono, però, limitate a pochi casi, anche perché la segnalazione, a volte, viene praticata in modo inappropriato dai presunti segnalatori.

Nella modifica della legge del 2001, il segnalante è tutelato dal segreto della propria identità fino alla terminazione del processo, mentre la Corte di Cassazione, nelle prime due sentenze, ha definito l'applicabilità, in ambito processuale, di intercettazioni.

Ma adesso cercheremo di analizzare nel dettaglio il risultato di queste due sentenze sul whistleblowing.

La sentenza del 31 gennaio 2018

Alla fine di gennaio del 2018, la Corte di Cassazione emanò due sentenze "gemelle", riguardanti l'ambito della legittimità delle intercettazioni disposte nella precedente modifica della legge del 2001.

La difesa, per il fatto che il segnalatore d'illeciti fosse tutelato dall'anonimato fino alla conclusione del processo, disquisiva sulla legittimità di tali intercettazioni, proprio perché tali accuse derivavano da una fonte anonima. L'organo giudicante, al contrario, riteneva l'esposto interno del whistleblower utilizzabile in tribunale e che la segnalazione è pienamente utilizzabile per ritenere esistenti i gravi indizi di reato. Quindi è stato affermato che la denuncia del dipendente, fatta all'autorità anti-corruzione, non può ritenersi anonima, perché la denuncia, se comunicata ai sensi dell'art. 54-bis della legge del 2001, garantisce l'anonimato solo nell'eventuale procedimento disciplinare contro l'incolpato, mentre il riserbo sull'identità è escluso nel caso di un procedimento penale.

Detto questo, la Cassazione ha precisato che il cosiddetto "canale Whistleblowing" garantisce l'anonimato del segnalante nell'ambito disciplinare ma allo stesso tempo consente l'individualità del whistleblower in caso di dichiarazione accusatoria in ambito penale, perché l'individuazione dell'accusatore è essenziale per la difesa dell'incolpato.

La tutela, quindi, è stata riservata sia al segnalatore d'illeciti, che non può essere vittima, tramite l'anonimato, di sanzioni disciplinari o licenziamento, sia al presunto colpevole, che potrà, in ambito penale, sapere l'identità dell'accusatore per potersi difendere nel processo.

La sentenza del 21 maggio 2018

Quattro mesi dopo, la Corte di Cassazione torna sul caso Whistleblowing per trattare dei limiti della tutela a favore del segnalatore d'illeciti o di reati.

La Corte Suprema, in questo caso, trattava nei riguardi di un imputato che si era introdotto furtivamente all'interno del sistema informatico dell'ufficio di lavoro a cui apparteneva per, a detta sua, finalità di sperimentazione di vulnerabilità dello stesso sistema informatico dell'ufficio in cui lavorava.

Proprio il dipendente pubblico ricorse alla Corte di Cassazione per sostenere che la sua azione fosse stata lecita e attuata per pubblica utilità.

La Corte di Cassazione sentenziò che l'attività di informazioni, in violazione della legge, non rientra nell'ambito della tutela riservata al whistleblower. Quindi con questa sentenza la Corte Suprema pronunzia il fatto che la protezione non opera nei confronti di chi ottiene prove di illeciti violando la legge non essendo congetturabile un'autorizzazione ad azioni di indagine illecite.

Quindi il whistleblower non può essere tutelato se le sue azioni violano in qualche modo la legge, anche perché tali azioni potrebbero risultare illegittime in caso di processo.

Un bilanciamento per le parti

Con queste due sentenze, la Corte di Cassazione ha bilanciato le garanzie sia del segnalatore di illeciti che dell'incolpato. L'accusato è tutelato nell'avere un processo che metta in conto la legittimità delle accusa a lui rivolte. Infatti egli, durante il processo penale, deve conoscere l'identità del segnalatore per poter attuare una difesa che abbia elementi fondativi sul principio del giusto processo.

Pieno anonimato fino al processo penale?

Ma dall'altro lato l'accusatore, o whistleblower, è tutelato dall'anonimato fino al processo penale, e quindi protetto da ripercussioni riguardanti sanzioni disciplinari o di minacce di vario tipo. Questo tipo di provvedimento, d'altro canto, potrebbe far desistere il whistleblower a segnalare l'illecito, proprio perché, in caso di processo penale, perderebbe l'anonimato a conclusione delle indagini preliminari. Anche perché le misure ritorsive sull'accusante, molto spesso, possono essere attuate nelle modalità più diversificate e quindi sfuggire ad una catalogazione di tipo legislativo.

Attenzione alle false segnalazioni

Nel caso della sentenza del maggio 2018, la Corte ha definito in maniera chiara il cerchio all'interno della quale il segnalatore può operare. Perché se il whistleblower opera in maniera illecita per ottenere prove di un reato o di un fatto che esula l'interesse pubblico, la sua azione potrà poi essere ritenuta inconsistente durante un processo, proprio per il principio di giusto processo di cui l'imputato ha diritto.

Quindi le tutele sul segnalatore non sono garantite nel caso in cui il segnalante abbia commesso reati per denunciare un qualunque tipo di illecito o reato.

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L’importanza delle sentenze

Due sentenze, quelle della Corte di Cassazione, che hanno, in un certo modo, fatto chiarezza sulla modifica attuata nel 2017 sul decreto legislativo del 2001, e hanno pure determinato un aumento esponenziale delle segnalazioni di illeciti nel 2018.

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