Si parla spesso in questii mesi di monitoraggio delle criptovalute, e tante sono le domande che arrivano da parte degli utenti in merito a un problema molto sentito ma che non trova, evidentemente, sufficiente chiarezza da parte delle autorità. Vediamo come si attua il monitoraggio delle cripto.
Non solo Bitcoin, questo è il primo aspetto da prendere in considerazione. Lo sappiamo che i bitcoin sono la cripto più famosa, quella tecnologicamente più interessante e che ha realizzato una vera e propria rivoluzione culturale. Tuttavia, il mondo delle cripto è fatto di migliaia di monete che ogni giorno generano interazioni tra chi vuole acquistare e chi intende vendere.
Sono due gli aspetti problematici che si presentano quando si parla di queste monete virtuali: la tassazione delle plusvalenze e il monitoraggio di quanto posseduto. Sul primo argomento ci siamo soffermati tanto con altri articoli, oggi vogliamo soffermarci sul discorso del monitoraggio, per capire quando e come dev'essere compialto.
Sul discorso monitoraggio delle criptovalute, l’Agenzia delle Entrate ha richiamato l’articolo 4 del Decreto Legge N. 167 del 1990 dove si stabilisce che la detenzione di investimenti all’estero, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, devono essere dichiarati nella dichiarazione annuale dei redditi. Tale obbligo è valido per tutte le persone fisiche, le imprese e gli enti non commerciali residenti in Italia.
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In seguito, con la circolare N. 38 del 23 dicembre 2013, è stato chiarito che l’obbligo a cui abbiamo accennato poc’anzi sussiste anche per le attività finanziarie estere detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari residenti.
Perché abbiamo richiamato tale circolare e il precedente Decreto Legge? Perché senza troppi equivoci, l’AdE ha stabilito che tali norme si applicano anche alle criptovalute, visto che queste si configurano come attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi in Italia e quindi soggette a monitoraggio fiscale.
Ma come avviene tale monitoraggio? Mediante la compilazione del quadro RW, e inserendo nella colonna 3 il codice 14, che corrisponde alla voce “Altre attività estere di natura finanziaria e valute virtuali”. Da lasciare in bianco, invece, la colonna 4, ovvero dove andrebbe indicato il “Codice Paese Estero”.
L’importanza del monitoraggio fiscale è notevole, e qualora non fossero sufficienti le esplicite dichiarazioni dell’AdE, vale ricordare che anche il TAR del Lazio con la sentenza n. 1077 del 27 gennaio 2020 si è espresso a favore di questa interpretazione, confermando l’obbligo della compilazione del quadro RW da parte di chi detiene valute virtuali su wallet personali o presso exchange.
C’è ancora una questione da affrontare, ed è quella del controvalore in euro da indicare nel quadro RW. Anche su questo l’AdE ha chiarito come comportarsi. Infatti, al 31 dicembre dell’anno di riferimento, il controvalore in euro va indicato in base al cambio disponibile in quella data sul sito dove il contribuente ha acquistato le criptovalute dichiarate.
Ciò vale per tutti gli anni successivi, durante i quali il contribuente dovrà sempre dichiarare il controvalore in euro rispetto all’ultimo giorno utile dell’anno corrente, oppure rispetto alla data di vendita.
È ricordare, infine, che le criptoavlute non sono soggette all’IVAFE, l’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero da parte di persone fisiche residenti in Italia. Il motivo è nel fatto che questa imposta si applica soltanto ai depositi e conti correnti esclusivamente di natura bancaria.
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