Quando si parla di diritto d’autore viene facile pensare che l’unico a poter godere dello sfruttamento economico di una propria opera sia l’autore stesso. In verità non è così, questo è solo il primo caso ma ve ne sono altri e per ognuno è previsto un diverso trattamento fiscale.
Partiamo dalle definizioni. Il diritto d'autore è un istituto giuridico, all'interno del diritto privato, che ha lo scopo di tutelare i frutti dell'attività intellettuale di carattere creativo, attraverso il riconoscimento all'autore originario dell'opera di una serie di diritti di carattere sia morale, sia patrimoniale.
Come accennato poc’anzi, il diritto patrimoniale non è detto che si esercitato esclusivamente dal legittimo proprietario dell’opera ma vi possono essere altri casi, tant’è che la Legge stabilisce un diverso approccio fiscale a seconda di chi sia colui che sfrutta il valore patrimoniale dell’opera di ingegno.
Sul piano tributario, il compenso per lo sfruttamento economico del diritto di autore, è assoggettato a diversa imposizione a seconda che risulti percepito:
Nel primo caso il patrimonio percepito viene trattato esattamente come fosse un reddito da lavoro dipendente.
Per la determinazione del reddito imponibile, all’importo del compenso si applica una deduzione forfettaria delle spese di produzione pari al 25% (per contribuenti con età superiore a 35 anni) ovvero al 40% (per contribuenti con età pari o inferiore a 35 anni) della misura del compenso medesimo (art. 54, co. 8, primo periodo, TUIR).
Nel secondo caso, invece, il reddito imponibile è pari al complessivo incasso derivante dallo sfruttamento dell’opera.
Tale regime vale anche per il terzo caso ma con la differenza che si applica una deduzione forfettaria pari al 25% del reddito lordo.
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