Può accadere che un lavoratore a un certo punto della sua storia lavorativa presso un'azienda diventi non idoneo per la mansione coperta fino ad allora. Cosa deve fare il datore di lavoro? È vero che posso chiedere il reintegro? A quanto ammonta il risarcimento? Quando l'azienda non è obbligata?
L’Unione Europea stabilisce l’obbligo per l’azienda di provare una soluzione alternativa per il lavoratore divenuto disabile a causa di una menomazione, questo anche se comporta un onere economico. Vediamo nel dettaglio cosa emerge dalla sentenza della Cassazione numero 6497 del 2021.
Non si parla espressamente di rifiuto ma piuttosto la legge stabilisce per l’azienda, dimostrato il tentativo di nuovo inquadramento, può ritenersi esonerata dall’obbligo nel momento in cui risulta evidente che il nuovo inquadramento comporta un onere economico particolarmente elevato, tale da potersi dire sproporzionato rispetto al beneficio raggiunto.
Sì è vero, secondo la legge l’azienda è tenuta a dimostrare di aver provveduto a cercare una soluzione alternativa.
La legge stabilisce che il risarcimento non può essere superiore alle 12 mensilità arretrate.
Sì, anche se l’azienda risulta a completo in termini di organico. Ciò vuol dire che non è sufficiente la completezza dell’organico ma è necessario dimostrare l’eccessivo onere determinato dal reintegro
Certo, anzi la legge stabilisce proprio che questa può essere una corretta via di uscita, perché l’azienda ha l’obbligo di ripescare il lavoratore diventato inabile, affidandoli mansioni inferiori rispetto a quelle ricoperte in precedenza.
Dimostrando di trovarsi in una situazione di limitazione risultante da menomazioni fisiche, mentali o piscologiche durature.
È proprio l’obbligo dell’azienda di trovare una sistemazione lavorativa dignitosa per il lavoratore diventato inabile, senza costringerlo al licenziamento.
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