Per chi non è pienamente coinvolto, sul finire del 2019 con la firma sulla legge di bilancio 2020 sono state introdotte alcune importanti novità sulle imposte dovute in quanto proprietari di fabbricati strumentali all’attività d’impresa. Analizziamole tutte.
La prima novità che la legge di bilancio 2020 ha introdotto è il cambio di denominazione. Fino al 2019, infatti, il tributo dovuto sugli immobili strumentali quali possono essere i capannoni, prendeva il nome di TASI, acronimo di Tassa sui Servizi Indivisibili. La sostituzione è avvenuta, appunto, con l’istituzione della nuova IMU. Tuttavia, a scanso di equivoci, va subito precisato che non si tratta solo di un cambio di denominazione che lascia invariata la sostanza, infatti la nuova IMU presenta delle caratteristiche abbastanza diverse.
L’obbiettivo del legislatore con l’abrogazione della TASI a favore della nuova IMU era quello di snellire i processi burocratici, oltre a inserire alcune novità sostanziali come la deducibilità nel caso di immobili strumentali all’attività di impresa. Non sappiamo se sul piano burocratico vi siano state delle migliore, o comunque è troppo presto per capirlo, ma di certo alcune novità possono fare la differenza sul carico fiscale che grava sugli imprenditori.
Sulle medesime voci cui cui si applicava già la TASI, ovvero:
Su questo aspetto non abbiamo riscontrato particolari novità. Così come la TASI si pagava in due diversi momenti dell’anno, quindi con un acconto e un saldo, al pari anche la nuova IMU viene pagata in due semestri differenti, sempre allo scopo di consentire eventuali adeguamenti dell’imposta al cambio, eventuale, delle aliquote comunali in corso d’anno. Nel caso di immobili strumentali, l’acconto viene versato il 16 giugno mentre il saldo il 16 dicembre. La prima rata dev’essere pari al 50% del totale, così anche il saldo avrà la stessa percentuale, a meno di modifiche al rialzo o al ribasso.
Riuscire a calcolare la nuova IMU è importante per poter avere un’idea anche di quello che sarà il risparmio finale. Il punto di partenza per un calcolo corretto è la rendita catastale. Questa dev’essere prima rivalutata del 5%, poi moltiplicata per il coefficiente previsto per le classificazioni degli immobili, nello specifico in riferimento è il seguente:
Quindi nel caso dei capannoni il riferimento è il punto 4. Sul valore ottenuto, si applica infine l’aliquota comunale che va da un minimo di 0,85% fino a un massimo di 1,06%.
Come accennato in precedenza, la principale novità della nuova IMU consiste nella sua deducibilità, almeno per una parte di essa. Il progetto del DL Crescita era quello di portare la deducibilità dell’IMU, nel corso degli anni, da un minimo del 50% della tassa dovuta fino al 100%. Nello specifico, nel 2020 la deducubilità è stata del 50%, nel 2021 dovrebbe essere del 60% per arroivare infine al 2023 con una deducibilità del 100%.
Facciamo un esempio di deduzione applicata ad un capannone industriale per l’anno 2019. Ovviamente come prima cosa dobbiamo partire dal calcolo dell’imposta. Poniamo che il tuo capannone abbia una rendita catastale pari a 2135 euro. La rivalutazione del 5% porta questa a 2241,75 euro. Quindi procediamo con la moltiplicazione della rendita catastale rivalutata, con il coefficiente previsto per la categoria D, ovvero 65 e otteniamo 145.713,75 euro. Applichiamo un aliquota minima e poi una massima:
Questa è la tassa dovuta nel caso di aliquota minima oppure massima. Dal momento che per il 2021 è possibile dedurre il 60% dell’imposta, vorrà dire che la deduzione è pari a:
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