Da dove arrivano i soldi di un’azienda? Dove vanno le uscite? Quando si parla di utile e quando, invece, si parla di perdita d’esercizio? Nell’articolo rispondiamo a queste domande svolgendo una sommaria analisi del Conto Economico.
A queste domande risponde il Conto Economico, uno dei documenti fondanti del bilancio d’esercizio. Volendo sintetizzare, il conto economico ci racconta dei soldi che entrano in un’azienda e di quelli che escono. Se dalla differenza tra questi due valori si ottiene un valore positivo, allora vorrà dire che l’azienda è riuscita a conseguire un utile.
L’utile, a sua volta, potrà essere reinvestito nell’azienda stessa oppure distribuito proporzionalmente tra i soci, realizzando così un dividendo.
Se invece la differenza è negativa, allora l’azienda ha maturato una perdita, e dovrà approntare una corretta strategia per poterla ripagare.
Al pari dello Stato Patrimoniale, anche il Conto Economico è disciplinato dal Codice Civile, all’articolo 2425. Qui si indentifica una struttura che è detta “a scalare per natura” ovvero una struttura che si sviluppa in senso verticale.
Invece delle 4 sezioni dello Stato Patrimoniale, nel Conto Economico si individuano 5 sotto classi:
Eseguendo la formula A – (B ± C ± D ± E) si ottiene un risultato che si dice “prima delle imposte”. Una volta applicate anche queste, quindi detratte dal totale, si avrà l’utile o la perdita d’esercizio.
Al punto A vanno inseriti i ricavi e le rimanenze sia rispetto ai beni che ai servizi. Tale valore dev’essere al netto di eventuali resi, contestazioni, abbuoni, sconti o imposte applicate su prodotti e servizi. Si riportano anche i ricavi considerati marginali, come ad esempio quelli che si ottengono dall’affitto di un immobile.
Al punto B si riportano i costi della produzione che si possono suddividere in 5 ulteriori categorie: Costi (per le materie prime, per il personale, per il godimenti di beni), Ammortamenti e Svalutazioni (ovvero la quota del costo di un bene spalmato su più esercizi e le svalutazioni che si hanno rispetto all’acquisto di un bene mobile o immobile), le Rimanenze (ovvero materie prime che ancora entrano nel processo produttivo), gli Accantonamenti (quelle somme di denaro accantonante per coprire rischi futuri, quindi gli eventuali fondi) e gli Oneri diversi (tutte le voci negative che non trovano una collocazione nella classificazione precedente).
È bene precisare che giunti a questo punto, è già possibile individuare un risultato intermedio dato dalla differenza tra A e B.
Al punto C si riportano i proventi derivanti da partecipazioni (i dividendi, ad esempio), altri proventi finanziari (gli interessi attivi), interessi e altri oneri finanziari (interessi passivi sui mutui ad esempio).
Al punto D si riportano quegli investimenti che subiscono una modifica nel corso del tempo. In effetti nel corso del tempo gli investimenti possono subire una modifica positiva (allora si parlerà di rivalutazione) oppure una modifica negativa (allora si parlerà di svalutazione).
Al punto E si riportano tutti i ricavi e i costi che non riguardano la gestione ordinaria, cioè eventuali plusvalenze o minusvalenze ottenute in seguito, esempio, alla vendita di un asset, di un bene di proprietà.
A questo punto, una volta completate tutte le voci e inseriti tutti i dati, è possibile applicare la formula accennata in precedenza, da cui ottenere la situazione prima delle imposte. Questo è il secondo valore intermedio che è possibile ottenere dal Conto Economico. Successivamente nel Conto Economico inseriremo le imposte, e una volta sottratte dal valore appena ottenuto, otteniamo l’utile o la perdita d’esercizio. Per capire se il valore è ottenuto è corretto, vale ricordare che il risultato del Conto Economico, che sia un utile o una perdita, dev’essere uguale al risultato dello Stato Patrimoniale.
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