Esportare vino italiano negli Stati Uniti d’America vuol dire aprirsi ad un’importante business in un mercato che da anni sta crescendo la sua quota di consumi. Abbiamo individuato tutte le informazioni necessarie per chi vuole avviare un’attività di export.
Il mercato del vino negli Stati Uniti ha continuato a crescere in maniera costante negli ultimi dieci anni. I consumi pro capite sono attorno ai 9/11 litri annui, ma se si scompongono i dati per area geografica ci sono Stati come la California o lo Stato di New York dove i consumi pro capite raggiungono anche i 20 litri annui. In termini complessivi gli Stati Uniti si stanno trasformando in un grande consumatore di vino al mondo, forse uno dei più grandi, con volumi che si avvicinano ai 3.000 milioni di litri annui.
Inutile dire che in questo contesto, riuscire a penetrare un mercato così allettante è una sfida di indubbio interesse. Ma quali sono le norme che regolano l’esportazione di vino dall’Italia verso gli Stati Uniti? Quali sono i documenti e le dichiarazione da inviare per un corretto sdoganamento delle merci?
Di seguito troverai una serie di informazioni essenziali per avviare un'attività di export vini verso gli Stati Uniti d'America, a prescindere che si tratti di DOC o di vini da tavola, perchè la differenza la farà il paese di origine: made in Italy.
Quando ci si apre ai mercati esteri, ci sono alcuni aspetti che bisogna definire con particolare attenzione:
Per i vini, gli Stati Uniti richiedono che l’etichetta contenga le seguenti informazioni, in lingua Inglese:
È bene sapere che l’importatore ha l’obbligo di registrare l’etichetta del vino a nome suo, prima di poter importare e vendere il prodotto sul mercato americano.
Per l’imballaggio il discorso è molto più semplice che altrove. Gli Stati Uniti, infatti, non impongono particolari condizioni, né danno indicazione sul numero massimo di bottiglie che è possibile inserire in un singolo cartone. Resta valida la prassi di spedire cartoni con al massimo 12 bottiglie da 75 ml, oppure 6 da 1,5 litri.
La spedizione va sempre accompagnata con un documento che ne attesti l’effettivo contenuto. Sarà poi compito dell’importatore, il quale si appoggerà ad un corrispondente specializzato in sdoganamento di vini e prodotti alcolici. Con lo spedizioniere andranno concordati anche i documenti di trasporto, come fattura pro-forma, packing list e polizza di carico. Resta escluso tra i documenti di trasporto il certificato di origine, in quanto non richiesto per i vini italiani. L’importazione dei vini italiani consente di saltare anche la richiesta dei certificati di analisi. Questi potrebbero essere richiesti soltanto nel momento in cui si dovesse verificare qualche situazione anomale quali contaminazioni o altri eventi imprevedibili.
La dichiarazione doganale di importazione non è necessaria, in quanto è di competenza dell’importatore statunitense. Obbligatoria, invece, è la registrazione dell’azienda presso la FDA per la certificazione sul bioterrorismo, da effettuare online alla pagina www.fda.gov/furls.
Altra segnalazione da effettuare è quella di avvenuta spedizione tramite il Prior Notice, la rete a circuito chiuso della Dogana USA.
I vini sono soggetti a dazi doganali e altre tasse che variano sulla base delle tipologia, del colore, misure del contenitore ed altre variabili. Per i dazi doganali si consiglia di controllare la pagina https://ht.usitc.gov/current
Oltre i dazi vanno calcolate anche le altre imposte applicate ai vini, quali le tasse Federali e le tasse applicate dai singoli stati dell’Unione che variano da stato a stato. Quest’ultimo aspetto può essere approfondito all’indirizzo https://www.taxadmin.org/assets/docs/Research/Rates/wine.pdf
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