Quali obblighi incombono sul lavoratore in tempi di pandemia? il rifiuto di indossare la mascherina è legittimo? sussiste un obbligo vaccinale per i dipendenti? Nell'articolo che segue vengono affrontati questi e altri aspetti, alla luce delle normative emergenziali e della giurisprudenza
In questo anno epidemiologico, i datori di lavoro hanno recepito le misure previste dal Protocollo nazionale condiviso del 24/4/2020, spesso adottando specifici Protocolli aziendali.
Il 6 aprile 2021, peraltro, il Governo e le Parti Sociali hanno aggiornato il Protocollo generale_covid_luoghi_lavoro, alla luce dei vari provvedimenti adottati dal Governo e da ultimo dal DPCM 2 marzo 2021.
Le misure previste dai Protocolli sono una serie di regole precauzionali che si integrano con quelle già dettate dal TU Sicurezza sul Lavoro e dall’art. 2087 c.c.; in caso di inosservanza, ricordiamo, è configurabile la responsabilità civile e penale del datore di lavoro.
Tra le misure del Protocollo 6/4/2021 viene confermata la necessità ed obbligatorietà, fermo restando il mantenimento della distanza interpersonale di almeno un metro come principale misura di contenimento, che negli spazi condivisi di lavoro, al chiuso o all’aperto, vengano indossate le mascherine chirurgiche o DPI di livello superiore; tale uso non è necessario nel caso di attività svolte in condizioni di isolamento; all’interno dei singoli luoghi di lavoro, sulla base dei rischi valutati in base alle diverse attività dell’azienda, si adotteranno I DPI idonei.
Cosa succede, dunque, qualora un dipendente, pur avendone la possibilità, in assenza di comprovati motivi di salute attestati dal proprio medico, si rifiuti di indossare la mascherina?
In primo luogo, il dipendente va incontro ad un procedimento disciplinare: il mancato rispetto del Protocollo nazionale condiviso comporta inadempimento del lavoratore, rilevabile anche a livello disciplinare (ex art. 2106 cod. civ. e ex art. 7 della L. n. 300/1970). Inoltre, risulerebbero violati anche gli obblighi di diligenza e fedeltà (art. 2104 e 2105 cod. civ.) intesi in senso ampio come il dovere di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto di lavoro. In Giurisprudenza si è affermato il principio della legittimità del licenziamento del lavoratore che reiteratamente rifiuti di indossare i dpi durante lo svolgimento della prestazione lavorativa, cosi come previsto dal D.V.R. e da specifica disposizione aziendale. Secondo la S.C., infatti, mentre il datore di lavoro ha il dovere di effettuare la valutazione dei rischi specifici, in collaborazione con le altre figure previste dal TU Sicurezza, volta ad individuare le misure di prevenzione e protezione e di vigilare sull’osservanza delle stesse, il lavoratore è tenuto al rispetto delle disposizioni aziendali in materia.
Nel caso il rifiuto di indossare le mascherine sia motivato da problematiche di salute certificate, in assenza della possibilità di adibire il lavoratore a modalità di lavoro agile, è stata ritenuta legittima l’assegnazione temporanea ad altro ufficio o mansione, osservandosi peraltro che l’impossibilità di eseguire ogni tipo di prestazione relativo alla propria mansione potrebbe determinare un’inidoneità tale da giustificare lo scioglimento del rapporto di lavoro.
Nella Pillola IusTeam “Vaccinazione anti covid e lavoratori: quali obblighi e quali conseguenze ?” di gennaio, avevamo anche parlato del tema della vaccinazione anti covid dei lavoratori e delle eventuali conseguenze del rifiuto della suddetta vaccinazione.
Avevamo ipotizzato che, a seguito di apposita valutazione dei rischi specifici effettuata dal datore di lavoro, laddove su indicazione del medico competente fosse indicata la necessità di vaccinazione come misura preventiva, potesse essere richiesta la vaccinazione ai dipendenti. In mancanza di un espresso obbligo normativo generalizzato di vaccinazione, in caso di rifiuto del lavoratore alla vaccinazione, non motivato da motivi di salute, si era ritenuta più corretta l’adozione di misure di tipo conservativo, ovvero creazione, se possibile, di ambienti appositi ove far svolgere la mansione al lavoratore non vaccinato in condizioni di sicurezza per sé e per gli altri, adibizione allo smartworking, ricorso alla cassa integrazione covid, adibizione ad altre mansioni, anche di livello inferiore, con parità di retribuzione, ricorso a ferie, fino all’adozione, in caso di impossibilità di altre soluzioni, del provvedimento di sospensione dell’attività lavorativa senza retribuzione. Si era anche ipotizzato che, qualora tale sospensione tendesse a protrarsi per lungo tempo e ciò comportasse un rischio di danno per l’azienda, il lavoratore avrebbe potuto incorrere nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ovviamente appena cessato il divieto di legge.
Fermo restando che per i lavoratori cd. fragili il nostro legislatore ha previsto fino al 30/6/2021 che i medesimi vengano adibiti al lavoro agile, ove possibile, anche attraverso adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento, e ove non possibile, di considerare il periodo di assenza dal servizio come equiparato al ricovero ospedaliero e non computabile ai fini del periodo di comporto (art. 26 DL 18/2020 e successive mofidiche).
Con il Decreto Legge 1/4/2021 n. 44 art. 4 è stato introdotto normativamente l’OBBLIGO DI VACCINAZIONE PER PARTICOLARI CATEGORIE, ovvero per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, farmacie, parafarmacie e studi professionali.
Il decreto legge prosegue specificando che la vaccinazione costituisce requisito essenziale all’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati.
La vaccinazione non è obbligatoria e può essere omessa o differita solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestato dal medico di medicina generale.
A livello procedurale, le ASL territorialmente competenti, attuata la procedura e decorsi i termini di legge, qualora accertino “l’inosservanza dell’obbligo vaccinale” dovranno darne immediata comunicazione all’interessato, al datore di lavoro e all’Ordine professionale di appartenenza. L’adozione dell’atto di accertamento da parte dell’azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.
Il datore di lavoro, ricevuta la comunicazione dall’ASL, adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l’assegnazione a mansioni diverse non e’ possibile, per il periodo di sospensione – avente efficacia fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021 – non e’ dovuta la retribuzione, altro compenso o emolumento, comunque denominato.
Dopo tale data, salvo eventuali proroghe di legge, deve ritenersi che tornerà ad operare anche per tali categorie di lavoratori la disciplina generale.
Per quanto riguarda coloro per cui la vaccinazione non è obbligatoria (per motivi di salute), salvo in ogni caso quanto già previsto per i cd. Lavoratori fragili fino al 30/6/2021, per il periodo in cui la vaccinazione e’ omessa o differita e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, il datore di lavoro adibisce tali soggetti a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione.
Va, infine, evidenziato che per le categorie di lavoratori diverse da quelle prese in considerazione dal DL 44/2021 è da ritenersi confermata, anche a seguito dell’adozione del Protocollo nazionale per la realizzazione dei piani aziendali finalizzati all’attivazione di punti straordinari di vaccinazione anti covid all’interno dei luoghi di lavoro del 6/4/2021, l’assenza di un obbligo vaccinale generalizzato: il Protocollo, infatti, ribadisce che i dipendenti hanno la facoltà di fare VOLONTARIA richiesta di essere adibiti alle vaccinazioni sul luogo di lavoro.
La normativa introdotta dal DL 44/2021 viene, peraltro, a superare, per le categorie di lavoratori ivi previste, quanto era stato indicato dal Garante Privacy nel febbraio 2021, le cui indicazioni continuano ad essere valide per tutte le altre categorie di lavoratori (: il datore di lavoro non può acquisire neanche con il consenso del dipendente o tramite il medico competente, informazioni sullo stato vaccinale del personale; solo il medico competente può conoscere lo stato vaccinale del dipendente e utilizzare questa informazione al fine di emettere un giudizio di idoneità/inidoneità psico-fisica sopravvenuta alla mansione specifica, senza indicare le motivazioni; il datore di lavoro, quindi, dovrà adottare le misure di sicurezza previste, in base al giudizio di inidoneità temporanea del medico competente, di cui non potrà conoscere la motivazione).
Avv. Daniela Messina
Se desideri altre informazioni o un chiarimento sull'argomento di questo articolo, clicca su FAI LA TUA DOMANDA per inviare un tuo quesito. Non è richiesta alcuna registrazione. Riceverai la tua risposta, personalizzata, direttamente nella casella di posta.
Titolare dello Studio Legale Avv. Daniela Messina con sede in: Via Giovanni XXIII n. 2 - San Bengno C.se (Foro di Ivrea) Via Martiri della Libertà n. 10 - Caselle T.se (Foro di Torino). Assiste da anni la Clientela Privata ed Aziendale nelle controversie, stragiudiziali e giudiziali, in materia di diritto civile, contrattualistica, recupero crediti, immobiliare, condominio e locazioni, famiglia, successioni e tutela incapaci, diritto del lavoro. Si occupa della tutela sostanziale e processuale del Cliente, ponendo in essere le attività necessarie ed opportune per la soluzione bonaria della vertenza e, qualora questa non risulti possibile, per ottenere tutela giudiziale, di cognizione ed esecutiva.